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Enzo Fabiani

E’ subito evidente che la pittura figurativa, e in particolare paesaggistica, trova in Gino Borlandi un fervido attivo testimone: e cioè un Artista dotato e preparato, che per affermare e quindi comunicare la sua verità poetica, ha scelto quella che è la via più difficile; l’approfondimento della realtà e non già l’evasione o la frantumazione di essa in nome di teorie o ideologie. Naturalmente, come in Borlandi avviene, è necessario, al fine della poesia, che la realtà stessa sia intesa e sentita profondamente; diventi cioè una sorta di lievito interiore e mentale: e non resti quindi una sorta di spettacolo da ripetere o imitare più o meno passivamente. E che questa lievitazione sia avvenuta per il nostro Artista è documentato non solo dai motivi prescelti, ma anche dal modo in cui essi vengono trattati e risolti. Borlandi è di origini piemontesi e ha lo studio a Genova, ma la gran parte dei suoi quadri riprendono e definiscono motivi spagnoli e in particolare delle isole di Mallorca e Ibiza. Chi conosce queste isole, con i loro mandorli fioriti già in dicembre, con le loro cattedrali, i loro gol e i loro mulini, sa come subito, a chi vi arriva, appare un paesaggio che ha sì le caratteristiche mediterranee, ma anche qualcosa di più e di più profondamente enigmatico e più splendidamente solare. Questo per dire che l’affrontare questi paesaggi richiede prima di tutto una forza e una capacità di oggettivazione al fine di non essere o respinti o travolti da quella specie di mistero luminoso che palpita in quelle terre e in quei cieli. E guardando i quadri di Borlandi, pensavo proprio a Mallorca (dove anni fa passai una delle estati più esaltanti della mia vita), per rilevare subito come egli sia riuscito a darci insieme alla ”figura” (cioè all’aspetto) di quelle terre, anche e specialmente l’essenza. Non il semplice paesaggio, quindi, ma il palpito del paesaggio stesso, ardente di calura e di luce, animato, pur nella sua monumentale staticità (e questo può dirsi anche di un albero, di una roccia), quasi da un fenomeno che potremmo immaginare derivato dalla fusione della luce con la musica…. Ogni quadro di Borlandi, insomma, è come un’improvvisa apertura su un miracolo che era in attesa di essere rivelato, di una realtà che aveva bisogno di essere scoperta e intesa e amata Per quanto riguarda i modi espressivi di Borlandi, mi sembra si possano ricordare anche Van Gogh e Gauguin, e non perché venga qui seguito e praticato un neo-impressionismo, quanto invece per l’accensione del colore, per quel suo farsi incandescente per una partecipazione sentimentale e mentale. Se si pensa infatti, come a un punto di riferimento indicativo, a certi quadri di quei due Grandi, è facile accorgersi che spesso anche in Borlandi la smania della luce è simile. Ecco quindi che il paesaggio viene ricreato, potremmo dire, già nello e dallo sguardo, sicché l’oggetto pur restando se stesso, diventa come un punto di partenza per una trasfigurazione appassionata ma non letteraria, per una definizione attiva in nome di una data cultura, di un dato temperamento.E certo comunque che tutto questo non potrà avvenire se non vi sono nell’Artista le disposizioni necessarie, le qualità e direi i tesori. In altre parole Borlandi è Pittore della “Tierra del Sol” perché prima di tutto, prima di vederla e dipingerla, l’aveva dentro di sé: come un tesoro, appunto, che aspettava di essere rivelato, di splendere cioè attraverso la pittura. A volte nei quadri appaiono delle figure, perlopiù donne, che se ne stanno quiete nella maestà e nella solennità del paesaggio, sia esso formato da boschi rosso-verdi o da case abbacinate dal sole. Stanno, quelle figure, come una presenza affettuosa e umile che vuole godere della luce e della vita senza turbare l’armonia delle cose. E questo elemento porta ad un’altra considerazione: e cioè che a dominare i quadri di Borlandi c’è oltre alla luce imperante, il silenzio: nel quale tutte le cose (e cioè persone e alberi, boschi e campi, cieli ed acque) vivono come innamorate e come disposte a diventare parte integrante della natura che le circonda. Luce, silenzio: e quindi astrazione intesa non già come schema ma come stato reale, psicologico e poetico. Borlandi è molto bravo nel darci questa specie di lievitazione della realtà, grazie alla quale il dato realistico si alleggerisce, pur restando nitido e confermato nella pittura: quasi che quel lievito, cui accennavamo prima, si faccia animo delle cose stesse, e le renda di sè più belle. La terra di Spagna è dunque la prediletta di questo Artista,il quale di essa ha ben capito le linfe e le luci; Tuttavia la sua pittura non ha avuto forzature da adattamento, di artefatto mimetismo al ne di sottolineare più del necessario le caratteristiche. Borlandi è e rimane se stesso, e cioè un Pittore italiano che sa di avere dietro di sè una grande tradizione che può dare non solo una lezione profonda a chiunque, ma anche suggerire via via le soluzioni più adatte e giuste. Perciò, sia per cultura che per istinto, egli ha sempre presente quella tradizione che può andare dai Senesi a Tosi, magari passando per Sèzanne e per i fauves, forse, ma che in ogni caso costituisce un punto di riferimento e una forza nel suo attento e attivo operare. Si è accennato più volte al colore di Borlandi ma sarà bene ritornarci sopra, vedendo in esso uno dei punti di forza della sua appassionata ricerca pittorica, del suo mondo poetico. Ho accennato anche ai Senesi, e quindi ai” fondi oro”:ebbene mi sembra un’indicazione giusta, poiché ( al di là di tutte le necessarie distinzioni) quel bagliore par rivivere in molti quadri di Gino Borlandi; bagliore come manifestazione di luce, di passione, di verità poetica, grazie al quale “La Tierra del Sol” diventa più bella più sconfinata e anche più profondamente vera.

Enzo Fabiani
Giornalista e critico d’arte